Secondo il Fmi, lo scorso anno, la crescita russa si sarebbe attestata al +1,6% e dovrebbe rimanere su tali livelli anche per gli anni a venire, con un modesta accelerazione nel biennio 2019-2020 (+1,8%). Lo scorso 4 febbraio tuttavia la Rosstat ha diffuso importanti aggiornamenti relativi all’espansione dell’economia nazionale nel 2018 sostenendo che il Pil russo sia cresciuto addirittura del 2,3%. Un’informazione che ha prodotto una revisione nelle previsioni di crescita sia dell’istituto bancario russoVnesheconombank (Veb), che si occupa dello sviluppo economico del Paese e che ha ipotizzato una crescita pari al +2%, sia della Vtb Capital, banca d’investimento russa, che invece si è spinta fino al +2,2%. Anche il Fmi, lo scorso ottobre, aveva annunciato un miglioramento delle previsioni di crescita per il 2019 (dall’1,5 all’1,8%) per bocca del capo economista Maurice Obstfeld sostenendo che l’impatto positivo dell’aumento dei prezzi del petrolio mondiale sull’economia russa avrebbe superato l’effetto negativo delle sanzioni di Washington. In attesa di un (eventuale) ulteriore pronunciamento del Fmi quel che sembra fuor di discussione è che l’andamento dell’economia russa abbia già superato le più rosee aspettative.
Dunque l’accelerazione, se confermata, potrebbe provocare una riduzione dei tempi indicati dalla banca britannica Standard Chartered per il sorpasso – in termini di Pil misurato utilizzando la PPP (parità di potere d’acquisto) – sulla Germania, attualmente previsto per il 2020. Mosca quindi, salvo sorprese, si appresta a diventare in tempi rapidissimi la quinta economia più grande al mondo. Un fatto abbastanza sorprendente se si pensa alla recente fase recessiva del 2014-2015 che si riteneva potesse avere effetti ben più distruttivi su un’economia gravata da sanzioni economiche di un certo rilievo. Inoltre l’eventuale sorpasso sarebbe favorito anche dalla performance della Germania, cresciuta “appena” dell’1,5 percento nel 2018, il tasso più basso dal 2013.
L’economia russa invece ha dimostrato una sensazionale resilienza trainata dal consistente aumento della produzione petrolifera del Paese(ad ottobre 2018, rispetto all’anno precedente, l’aumento è stato di ben 290mila barili al giorno) e dal buon andamento dei consumi interni, non eccessivamente vessati dall’andamento dell’inflazione, in crescita rispetto al 2017 (dal 2,5 al 4,2%) ma comunque stabilizzatasi su livelli bassi rispetto a quelli standard.
A confermarlo è il rapporto elaborato dalla Banca Mondiale “The Global Economic Prospects. Darkening Skies” in cui si legge che “nonostante l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia, l’inflazione è rimasta relativamente bassa e stabile, mentre la produzione petrolifera è aumentata, grazie al costante dinamismo delle attività interne”.
Tuttavia il report cita poi una serie di fattori di rischio per l’economia russa (e quelle dei Paesi emergenti) fra cui spiccano il calo della domanda estera, la crescita dei costi di finanziamento e l’incertezza politica, diventata ormai una costante nel panorama internazionale dall’elezione di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti d’America. Effettivamente il buon momento attraversato dall’economia dovrebbe spingere Mosca ad affrontare alcune questioni nodali che rischiano di comprometterne il definitivo salto di qualità come l’eccessiva dipendenza dal petrolio (urge un serio processo di diversificazione economica) ed il miglioramento di un business climate già discreto (31esima posizione su 190 Paesi secondo la Banca Mondiale) ma che necessita avanzamenti su una serie di aspetti come “protecting minority investors”, “paying taxes”, “dealing with construction permits”, “resolving insolvency” e “trading across borders”.
Opportunità per il Made in Italy
I rapporti commerciali fra Roma e Mosca sono intensi e nel 2017 si sono attestati oltre i 20 miliardi di euro con un saldo commerciale largamente sfavorevole al Made in Italy, in grado di esportare verso la Russia beni per poco meno di 8 miliardi di euro. Nel 2018 il trend osservato, stando ad i dati disponibili fino ad oggi, relativi ai primi 10 mesi dello scorso anno, evidenziano un chiaro arretramento (-4,3%) delle vendite italiane in Russia, parzialmente giustificato però dalla robusta crescita (+18,5%) registrata nel 2017.
Non c’è dubbio, tuttavia, che le sanzioni introdotte nel 2014 (e prorogate lo scorso 18 dicembre 2018 fino al 31 luglio 2019) abbiano prodotto e continuino a produrre effetti perniciosi per l’export italiano. Una potenziale palliativo a questo processo potrebbe essere fornito dall’opportunità di produrre direttamente in loco i beni, opzione fra l’altro molto ben vista dalle autorità russe che mettono a disposizione delle imprese interessate interessanti incentivi economici per la realizzazione di unità produttive sul territorio sovietico.
Un problema, non di poco conto, è rappresentato però dal fatto che una fetta dell’export tricolore in Russia dipende dal comparto agroalimentaree, di conseguenza, non essendo possibile produrre prodotti dop e docg in Russia, si è verificata l’esplosione del fenomeno dell’Italian Sounding.
Insomma il futuro dell’export italiano in Russia appare incerto: da un lato Sace prevede una corposa crescita – superiore al 4% – nel triennio 2019-2021 ma dall’altro la performance del 2018, che dovrebbe chiudersi con un segno negativo, potrebbe costituire un segnale tutt’altro che incoraggiante. Soprattutto se si considera che la stessa Sace aveva previsto, per il 2018, un incremento dell’export Made in Italy in Russia pari al 5,7%.
Fonte: a cura di Exportiamo, di Marco Sabatini, redazione@exportiamo.it
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